Donne, memoria e modernità nel cinema ungherese: dal realismo di Márta Mészáros alla poesia di Ildikó Enyedi

Due registe appartenenti a due generazioni diverse, ma animate da una comune ricerca identitaria.

Márta Mészáros è la prima regista donna a ricevere un certo riconoscimento nel cinema ungherese del dopoguerra. Fin dagli anni Sessanta, inaugura una strada profondamente autobiografica e femminista, producendo opere di forte impatto in una società modellata dal socialismo e dal patriarcato. Con il suo film Cati (Eltávozott nap), Márta Mészáros prosegue in questa direzione portando sullo schermo il percorso di una donna che si confronta con la solitudine, la maternità e la ricostruzione personale.

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Vent’anni più tardi, la regista Ildikó Enyedi, appartenente a una generazione post-ideologica, riprende la questione dell’identità femminile adottando un approccio più poetico e simbolista. In Il mio XX secolo (1989), due gemelle separate alla nascita incarnano due poli ben distinti della femminilità moderna: la sensualità per l’una e la ribellione intellettuale per l’altra.

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In altre parole, se Mészáros immortala la donna negli atti concreti della sua quotidianità, Enyedi la proietta in uno spazio mitico e storico, a metà strada tra scienza e magia. Eppure, entrambe le registe condividono la stessa ambizione: dare voce e spazio alle donne in un mondo altrimenti dominato dai racconti maschili.

Dall’intimo al politico: la donna come specchio della società

Per Mészáros ciò che è personale è sempre politico. Cati esplora la condizione di una giovane donna single in Ungheria durante il periodo socialista, cercando di porre l’accento sulla tensione tra voglia di indipendenza e conformismo. Nel film l’eroina lotta per esistere al di fuori delle strutture familiari e patriarcali, e questa sua resistenza diventa rapidamente il simbolo di una ricerca di autonomia in cui tutta una generazione di donne può riconoscersi.
Enyedi, invece, trasforma questa riflessione in una favola storica. Le gemelle protagoniste del film Il mio XX secolo nascono con la modernità – rappresentata dall’interesse per la scienza, dalla rivoluzione elettrica e dall’ascesa dell’anarchismo – e attraversano il ventesimo secolo come due facce della stessa essenza femminile. Là dove Mészáros filma le ferite della vita reale, Enyedi le sublima in metafora: la donna diventa duplice, frammentata, elettrica.

Per un’estetica dello sguardo femminile

Le due registe incarnano due diverse visioni estetiche e autoriali della scrittura cinematografica del femminile.
Mészáros adotta una regia sobria, quasi documentaristica, influenzata dal realismo sociale. Il suo stile privilegia i volti, i silenzi e il lento scorrere della vita quotidiana.
Enyedi, al contrario, opta per una stilizzazione onirica: il bianco e nero brillante, i riferimenti surrealisti e la frammentazione della narrazione fanno chiaramente riferimento al cinema d’avanguardia.
Nonostante queste differenze di stile e di approccio, la loro macchina da presa è sempre dalla parte delle donne, che non sono solo oggetti a disposizione dello sguardo dello spettatore, ma soggetti a pieno titolo della propria storia.

L’eredità del cinema ungherese al femminile

Con Cati e Il mio XX secolo il cinema ungherese al femminile fa da testimone a due epoche storiche diverse e propone due linguaggi altrettanto diversi per raccontare la stessa storia: quella della libertà. Mentre Mészáros immerge la sua eroina nella realtà sociale del comunismo, Enyedi lascia i suoi personaggi liberi di affogare nell’immaginario del secolo nuovo. Insieme, le due registe hanno ridefinito la storia del cinema ungherese, creando uno spazio inedito all’interno di un universo patriarcale e ideologico: uno spazio ridisegnato a partire da sguardi femminili potenti, sensibili e visionari.

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