Tre film perfetti per una serata di cinema sotto le coperte
23/12/2025
19/12/2025
La musica non è soltanto una forma d’arte: è una forza di trasformazione, un mezzo per (ri)scoprire se stessi, per reinventarsi e per affermarsi. Da sempre, infatti, accompagna gli esseri umani nella loro ricerca di libertà interiore; dà forma alle nostre emozioni più intime e alle nostre identità in divenire. Oggi più che mai la musica appare come uno strumento di costruzione della soggettività, uno spazio in cui ognuno può creare la propria narrazione, affermare la propria singolarità e rivendicare la propria storia.
Questa dinamica è al centro di alcune opere contemporanee significative, come Chi se non noi di Nicole Medvecka e 100 Seasons di Giovanni Bucchieri. Questi due film esplorano il concetto di emancipazione attraverso il suono, la voce, il ritmo e, soprattutto, attraverso l’ascolto di sé.
Uno dei poteri più affascinanti della musica è la sua capacità di riconnetterci con noi stessi. Essa agisce come uno specchio emotivo, nella misura in cui rivela ciò che non riusciamo a esprimere e struttura ciò che non riusciamo a comprendere. Questa dimensione introspettiva è pienamente presente in Chi se non noi, che interroga la nostra capacità di definire noi stessi e di trovare il nostro posto nel mondo.
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Dando un ruolo centrale al ritmo e alla voce, Medvecka trasforma la musica in uno strumento di autoaffermazione. La domanda “Who if not us?” risuona come un appello vibrante alla responsabilità individuale e collettiva: chi, se non noi, dovrebbe scrivere la nostra storia?
L’emancipazione passa anche attraverso il corpo, attraverso il modo in cui esso reagisce al ritmo e occupa lo spazio. In 100 Seasons Giovanni Bucchieri ripercorre cinquant’anni di vita attraverso diverse “stagioni” musicali, concepite qui come una sorta di diario intimo sonoro. Quest’opera incandescente illustra fino a che punto il gesto musicale possa permetterci di riconnetterci con il nostro io più profondo e costituire una porta d’ingresso verso l’accettazione e la comprensione di sé.
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La musica diventa così un rito di passaggio, un modo di accogliere la propria unicità e persino di celebrarla. In tal senso, agisce come uno spazio terapeutico e liberatorio.
Oltre alla dimensione puramente individuale, la musica assume anche una valenza profondamente politica. È in grado di creare una comunità, di unire (e amplificare) le voci del dissenso e offre un luogo di esistenza alle identità oppresse o invisibilizzate. Per molte popolazioni marginalizzate, la musica è un rifugio, ma anche un grido: un modo per dire, in definitiva, “siamo qui, esistiamo”.
100 Seasons illustra questo potere di affermazione personale e collettiva, soprattutto nel modo in cui celebra l’unicità di ciascuno. Accettare la propria individualità diventa quindi un atto politico, una forma di resistenza alle norme oppressive che vorrebbero uniformare i corpi e le identità.
Che si tratti dell’analisi introspettiva di una generazione, come in Medvecka, o dell’esplorazione autobiografica di Bucchieri, queste opere mostrano che la musica non è soltanto intrattenimento: è anche, a più di un titolo, uno strumento di emancipazione e un motore di trasformazione sociale. Accompagna i momenti di rottura, libera le rivolte interiori e offre uno spazio in cui le identità possono finalmente fiorire pienamente.
Eccola la domanda che dovrebbe ispirare tutti noi: “Who if not us?” — chi, se non noi, userà la musica per liberarsi e cambiare il mondo?
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