Tre film perfetti per una serata di cinema sotto le coperte
23/12/2025
15/12/2025
Spesso idealizzata nell’immaginario collettivo, l’esperienza della maternità può essere in realtà anche un’avventura complicata, piena di dolore e di difficoltà. Opere come Giovanna la Pazza di Vicente Aranda, Have You Seen This Woman? di Dušan Zorić e Matija Gluščević, Maoussi di Charlotte Schiøler e Cati di Márta Mészáros ci forniscono un’analisi sfaccettata e profonda di questo tema, raccontandoci la maternità assente, la gravidanza indesiderata o più in generale le esperienze femminili segnate dalla perdita. Questi film, tutti diversi tra loro dal punto di vista dell’approccio estetico, condividono tuttavia una domanda cruciale: come vivono le donne un ruolo materno che spesso è stato loro imposto, che è stato rifiutato oppure che non si è mai concretizzato?
In Giovanna la Pazza la figura storica di Giovanna di Castiglia si ritrova intrappolata in un ruolo sociale in cui la maternità viene utilizzata come strumento politico. Il suo ruolo di madre diventa un obbligo sociale, non uno spazio di realizzazione personale.

Al contrario Have You Seen This Woman? esplora una forma di maternità fantasticata e frammentata: il personaggio femminile protagonista sembra essere confinato ai margini della propria esistenza, rivelando l’angoscia di un’identità dissolta in cui la maternità viene vissuta tanto come un’assenza quanto come uno spettro.
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Queste opere hanno il merito di mettere in luce una realtà di cui spesso non si parla: non tutte le donne desiderano diventare madri e molte di loro sono costrette a sperimentare la maternità senza mezzi a disposizione o in una condizione di isolamento. Le gravidanze indesiderate, le pressioni sociali e le imposizioni del cosiddetto “essere una buona madre” sono all’origine di traiettorie dolorose in cui il diritto di scegliere è talvolta inesistente.
Con Maoussi Schiøler esplora un rapporto madre-figlio segnato da fragilità intime, incomunicabilità e difficoltà nel rendere intellegibile al prossimo il proprio bagaglio culturale. Il film illustra una verità fondamentale: l’amore materno, lungi dall’essere un riflesso automatico, è una costruzione complessa attraversata da molteplici tensioni.
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Dal canto suo Cati di Mészáros ci pone davanti a un interrogativo essenziale: come essere madre quando si è cresciute all’interno di strutture familiari precarie? Attraverso la sua protagonista, figlia di una madre adolescente cresciuta in un centro di accoglienza, il film mette in luce una maternità vissuta come un equilibrio delicato, in bilico tra il desiderio di autonomia e la responsabilità nei confronti del bambino.
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Queste storie sono la testimonianza del fatto che la maternità non dovrebbe mai essere considerata come un’esperienza unica e uguale per tutte, ma come un insieme composito di vissuti spesso ambivalenti.
Un altro elemento che accomuna queste opere è l’assenza – fisica o simbolica – dei padri. Che siano sfuggenti, disinteressati o semplicemente inesistenti nel racconto, la loro assenza non fa che intensificare il peso che grava sulle spalle delle donne. Senza coparentalità, le protagoniste si ritrovano sole di fronte alle decisioni, ai rimpianti e alle sofferenze. Questo vuoto maschile, ovviamente, non può che essere all’origine di maternità disequilibrate e caratterizzate da situazioni in cui il fardello emotivo e materiale ricade interamente sulle madri.
L’abbandono da parte della madre, un tema tabù, si manifesta in questi film come una realtà brutale, ma puramente esistenziale. Quando le madri scompaiono — per scelta, necessità o incapacità — i bambini si ritrovano orfani di una presenza viva fondamentale. Il cinema è in grado di mettere in luce non solo l’atto dell’abbandono, ma anche le sue conseguenze: la solitudine dei bambini, il peso enorme che grava sulle istituzioni pubbliche spesso all’agonia, la realtà di identità costruite sulla mancanza.
Questo gesto, spesso giudicato negativamente dalla morale dominante, viene qui reinserito in un contesto sociale e psicologico più ampio che prende in considerazione parametri come la povertà, l’oppressione o la mancanza di sostegno. Nel cinema come nella vita l’abbandono, a volte, è anche un atto di sopravvivenza.