Il cinema sociale europeo: ritratti di marginalità e precarietà
09/12/2025
04/12/2025
In un contesto in cui le identità si ridefiniscono in continuazione e le diverse culture si incontrano sempre più spesso, il cinema dell’alterità si rivela più che mai essenziale. Opere come Maoussi, Cidade Rabat, Arthur & Diana e Chi se non noi contribuiscono a delineare un panorama ricco e diversificato che ci illustra il modo in cui il cinema europeo si occupa di multiculturalismo. Questi film, molto diversi per stile e universi di riferimento, condividono lo stesso obiettivo: indagare il nostro rapporto con l’Altro, con il territorio e con il modo in cui le storie individuali contribuiscono a forgiare un immaginario comune.
In Maoussi già il titolo ci porta lontano, geograficamente e culturalmente. Il film gioca sull’idea di un luogo a volte reale, a volte metaforico, ma in cui si incrociano sempre sguardi, memorie e appartenenze. Esplorando questo territorio, i personaggi mettono in discussione il loro rapporto intimo con il mondo e con gli altri. Un approccio che la rende un’opera emblematica di un cinema che indaga le diverse identità offrendo al contempo una prospettiva nuova sulle relazioni che vivono in bilico tra abitudini locali e apertura globale.
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Cidade Rabat si colloca all’intersezione tra gli immaginari urbani europei e le influenze culturali nordafricane. Fondendo la parola cidade (città, in portoghese) con Rabat, il film crea uno spazio ibrido, un ponte tra Europa e Maghreb. Racconta storie di migrazione, scambio e trasformazione, facendo della città un luogo di scontro, ma anche di armonia. Attraverso i suoi personaggi, il film dà voce alle diverse anime del multiculturalismo europeo, che testimoniano la ricchezza identitaria del nostro continente.
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A prima vista più discreto, Arthur & Diana esplora la diversità senza scomodare i confini geografici, ma concentrandosi semplicemente sulle relazioni umane. Il tandem costituito da un fratello e una sorella viene costruito, decostruito, osservato con attenzione; i protagonisti vivono costantemente sul filo del rasoio, tra comprensione e fraintendimento, distanza e riavvicinamento. Perché ogni relazione, come è ovvio, è estremamente complessa. Il film racconta il modo in cui ciascuno di noi può diventare la terra straniera dell’altro. In un rapporto intimo si possono trovare le stesse sfide dei racconti di migrazione o interculturalità: come convivere, dialogare, riconoscersi?
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Con Chi se non noi la questione viene posta frontalmente: «Insieme possiamo cambiare il mondo!». Il film amplia il campo dell’alterità mettendo l’accento sul collettivismo e mostrando la necessità di una responsabilità condivisa di fronte alle sfide sociali, politiche e ambientali del presente e del futuro. Si chiede se siamo capaci, in quanto società, di accogliere l’altro, di comprenderlo, di agire per il suo bene proprio come facciamo per noi stessi. Un’opera engagée che ha un partito preso: l’incontro non è solo un fenomeno individuale, ma una dinamica necessariamente collettiva.
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Queste quattro opere, ciascuna a modo suo, compongono un vero e proprio atlante del cinema dell’alterità. Mostrano che l’incontro — culturale, territoriale, relazionale o collettivo — rimane un motore narrativo potente e universale. In un panorama cinematografico europeo in piena trasformazione, questi film contribuiscono al consolidamento di un racconto plurale, militante e profondamente umano.
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