Tre film perfetti per una serata di cinema sotto le coperte
23/12/2025
16/12/2025
A prima vista Il ladro di pesche di Vulo Radev, Un’estate di Diego Llorente e Sono già morto tre volte… di Maxence Vassilyevitch sembrano appartenere a degli universi molto distanti tra loro. Nonostante siano molto eterogenei per epoca, contesto culturale e approccio estetico, questi tre film finiscono tuttavia per formare un trittico coerente nel momento in cui li si osserva attraverso il prisma dell’intimità.
Ne Il ladro di pesche la storia d’amore tra la moglie di un ufficiale bulgaro e un prigioniero serbo durante la guerra avviene in un contesto in cui ogni contatto è vietato. Questa relazione clandestina rivela una tensione costante tra senso del dovere e senso di colpa, in un momento in cui la necessità di sfuggire alla solitudine diventa, per entrambi i protagonisti, quasi vitale. Un desiderio nascente può talvolta diventare un rifugio… ma può anche rappresentare un rischio da evitare.

Un’estate, invece, affronta una forma di trasgressione più sottile: quella del sentimento ambiguo, del non detto, della scelta impossibile. I personaggi si cercano, si osservano e talvolta si evitano. Nulla viene affrontato in maniera frontale; tutto si verifica in un’invisibile zona d’ombra. E proprio questa opacità emotiva rende i rapporti tra i protagonisti ancora più intensi. Non si sa mai se si stia assistendo allo sbocciare di una nuova relazione o allo sgretolamento di una storia d’amore che sembrava inscalfibile.
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In Sono già morto tre volte…, infine, il rapporto con l’altro si costruisce in un contesto di fragilità identitaria. Le relazioni appaiono come territori di sperimentazione, frizione e rottura. Il desiderio qui è meno romantico e vitale, poiché porta con sé le speranze e i tentativi di un protagonista che cerca di ridefinirsi attraverso gli altri.
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Uno dei grandi fili conduttori tra questi tre film risiede nella loro capacità di mostrare la vulnerabilità umana in tutta la sua inevitabilità. Il ladro di pesche svela la fragilità emotiva di una donna intrappolata in un mondo strutturato da regole rigide e invalicabili. Un’estate esplora la vulnerabilità nascosta nelle pieghe del dubbio: come possiamo davvero sapere ciò che vogliamo? E come possiamo dire ciò che proviamo? Nel cinema di Vassilyevitch, invece, la vulnerabilità diventa quasi uno stato permanente: i protagonisti sembrano sempre a un passo da una crisi, da una rivelazione o da un crollo.
Questi tre universi mostrano quanto le relazioni affettive funzionino in realtà come degli specchi: ci costringono a confrontarci con i nostri desideri repressi, le nostre paure e i nostri limiti. Ogni incontro, ogni gesto e persino ogni silenzio si configura come il sintomo di una lotta interiore latente.
Un altro punto in comune tra queste tre opere risiede nel modo in cui affrontano il concetto di tempo. Ne Il ladro di pesche il tempo è poco e l’amore sembra non avere abbastanza spazio a disposizione: deve essere vissuto in fretta, nell’urgenza. In Un’estate, le relazioni nascono e si dissolvono nel corso di un’estate: una parentesi delimitata e sospesa in cui tutto sembra possibile ma in cui tutto è anche, di fatto, estremamente fragile. Sono già morto tre volte…, invece, si concentra sulla linea temporale dell’esistenza: chi eravamo? Chi siamo ancora?
Il tempo, quindi, si rivela essere un elemento essenziale in grado di plasmare le relazioni, di distruggerle oppure di rivelarle.
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